di Alessia Addari
Un recente rapporto Airtum attesta come ogni anno siano 12.000 i bambini/adolescenti di età inferiore ai 19 anni ai quali viene diagnosticato un cancro, con una percentuale di guarigione che raggiunge il 45%. Due milioni 250 mila gli italiani che vivono dopo una diagnosi di tumore di cui quasi 1.250.000 sono donne, mentre sarebbero addirittura 200 mila gli individui sotto i 40 anni a convivere con la malattia. La perdita della fertilità a causa di trattamenti oncologici è, dopo il timore legato alla sopravvivenza, la paura più grande che affligge una donna colpita da tumore in giovane età. Un recente rapporto Airtum attesta , inoltre, come siano ad oggi 12.000 i bambini /adolescenti di età inferiore ai 19 anni ai quali ogni anno viene diagnosticato un cancro, con una percentuale di guarigione in questa fascia che raggiunge il 45%. Negli ultimi decenni si è visto che sebbene il tumore sia una malattia grave, grazie alla diagnosi precoce e alle terapie sempre più innovative, si può guarire e si può convivere con esso per molti anni con una prospettiva di vita simile alle persone non colpite da tale malattia. Per questo è fondamentale una particolare attenzione alla qualità di procreavita delle persone in tutto il percorso che si intraprende dopo una diagnosi di neoplasia. Tra gli obiettivi primari, in questo panorama, la preservazione o restituzione della fertilità delle giovani pazienti oncologiche, scongiurano così l’ipotesi di danni irreversibili all’apparato riproduttivo che possano segnare profondamente la loro vita, tanto da non farle mai sentire del tutto guarite. Ed è proprio in quest’ottica, che il nostro sistema sanitario è intervenuto con l’istituzione nel Lazio della prima Banca del Tessuto Ovarico, una bio-banca che risponde adeguatamente ai bisogni di assistenza di tutte quelle donne in età pre-pubere colpite da tumore, alle quali è d’obbligo poter off rire un normale sviluppo senza in alcun modo minare la possibilità di procreare.
Un grande passo avanti della medicina moderna che aff rontiamo con il Professor Enrico Vizza, Direttore Ginecologia Oncologica IRE e Responsabile della Banca del Tessuto Ovarico.
Professor Vizza, tecnicamente come avviene il prelievo, la crioconservazione e il reimpianto del tessuto ovarico?
Al fi ne di prelevare tessuto ovarico destinato alla crioconservazione, la paziente eff ettuerà un intervento laparoscopico elettivo (donne oncologiche di età inferiore a 35 anni). Parte del tessuto prelevato sarà inviato ad esame istologico per escludere la presenza di cellule neoplastiche. Il materiale viene poi trasferito in apposito terreno di trasporto (PBS) addizionato con FCS ( Fetal Calf Serum) al 10% a 37°C e tagliato in strip di circa 6 mm di lunghezza e 3 mm di spessore. Le strip così ottenute verranno sottoposte a programmi di congelamento lento e conservate in azoto liquido a -196 °C. Lo scongelamento successivo in funzione del reimpianto avviene rapidamente estraendo direttamente il tessuto dall´azoto liquido. Alla completa remissione della malattia neoplastica e degli eventuali trattamenti adiuvanti, la paziente sarà sottoposta a trapianto ortotopico (ovvero nella stessa posizione anatomica precedente all’espiantato), per via laparoscopica, del tessuto ovarico scongelato.
Qual è l’età minima per il congelamento del tessuto ovarico?
Le bambine in età prepubere costituiscono uno dei principali target della crioconservazione del tessuto ovarico in quanto non possono essere sottoposte a stimolazione ovarica per il recupero degli ovociti né tantomeno a crioconservazione degli embrioni. Basti pensare che la leucemia linfatica acuta è la neoplasia maligna più comune in età pediatrica ed ha una sopravvivenza globale a 5 anni dell’80-86%. In generale ogni anno ci sono circa 12.000 bambini/ adolescenti di età inferiore ai 19 anni cui viene diagnosticato un cancro e la percentuale di guarigione in questa fascia di età raggiunge il 45%. Da questi dati si evince l’importanza di questa tecnica per le giovanissime.
Come si colloca la banca del tessuto ovarico dal punto di vista etico?
Da diversi anni si dibatte per la scelta di una strategia valida ed eticamente condivisa da tutti per preservare o restituire la fertilità alle pazienti oncologiche. La criopreservazione degli ovociti è, in Italia, la via intrapresa nell’ambito delle tecniche della procreazione medicalmente assistita. Nonostante si registri una bassa effi cienza in termini di percentuale di gravidanza, tra l’1% e il 5%, tale metodica è tutt’ora applicata in molti centri poiché rappresenta un metodo alternativo alla consolidata tecnica di congelamento embrionario che risolve problemi etici-legali e morali legati allo stoccaggio degli embrioni. D’altra parte la crioconservazione ovocitaria richiede la stimolazione ovarica ed un pick up, prelievo, ovocitario che possono ritardare il trattamento oncologico, aumentando le possibilità di crescita e di metastatizzazione del cancro. Va inoltre ricordato che la stimolazione ovarica con gonadotropine aumenta la concentrazione ematica di estrogeno che può aggravare tumori estrogeno sensibili come il cancro della mammella. In questi casi visto che il rischio è chiaro ed il benefi cio incerto, la proposta di crioconservazione ovocitaria è eticamente inaccettabile. In tale scenario la banca del tessuto ovarico si inserisce come un’alternativa non solo clinicamente valida per le pazienti oncologiche ma anche condivisa dal punto di vista etico.
Perché è stato scelto l’Istituto Regina Elena come sede per una banca del tessuto ovarico?
La sede IFO rappresenta l’unica bio-banca del Lazio. L’Istituto Regina Elena, per mission, competenze e disponibilità di spazi, esprime tutte le caratteristiche necessarie per realizzare una Banca di tessuto ovarico ed un progetto di trapianto di tessuto ovarico. L’IRE è pioniere nell’approccio multidisciplinare della qualità di vita del paziente oncologico, fi nalizzata oltre che alla guarigione dalla malattia anche al ripristino delle funzioni fi siologiche. Il coordinamento di tutte le azioni che si riferiscono all’assistenza del paziente neoplastico, è un punto cruciale, irrinunciabile ai fi ni del raggiungimento di elevati standard di qualità della stessa assistenza oncologica.
Quali sono le istituzioni coinvolte nel progetto?
I partner dell’Istituto Regina Elena sono: il Ministero della Salute che ha fi nanziato il progetto per 400.000 euro assegnati alla Regione Lazio Responsabile della bio-banca; l’Istituto Superiore di Sanità che ha un ruolo di coordinamento e vigilanza e di consulenza scientifi ca; l’Università La Sapienza, nella persona del Prof Andrea Lenzi del Dipartimento di Fisiopatologia Medica, per le problematiche di sterilità maschile e il Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’ Università Tor Vergata, diretto del Prof Emilio Piccione. Infi ne Ettore Cittadini, Professore di ostetricia e ginecologia dell’Università degli Studi di Palermo e responsabile scientifi co del Tavolo tecnico per “ il completamento del percorso di miglioramento della qualità nel settore della procreazione medicalmente assistita”, svolge un ruolo di consulenza scientifi ca. L’iniziativa è inoltre sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica ed è patrocinata dall’Associazione Ospedalieri Ginecologi Ostetrici Italiani (AOGOI).