I noduli tiroidei interessano fino al 25% della popolazione italiana e sono una delle malattie endocrine più comuni; colpiscono la tiroide, ghiandola che produce ormoni essenziali per il benessere dell’individuo. Il 90% dei noduli tiroidei sono benigni e sono correlati a bassa concentrazione di iodio nell’ambiente, elemento fondamentale per la produzione degli ormoni, e a familiarità. Nel caso di noduli maligni le cause sono ancora la familiarità ma, più importanti, anche l’esposizione a radiazioni o a trattamenti terapeutici come la radioterapia della testa e del collo.
La maggior parte dei noduli tiroidei benigni rimangono stabili nel tempo e non necessitano di trattamenti se non un costante monitoraggio. Alcuni, tuttavia, tendono a crescere progressivamente e a causare sintomi locali, in questi casi si tende a limitare gli interventi chirurgici ai soli pazienti che presentano ipertiroidismo o sintomi compressivi non altrimenti gestibili. Gli strumenti chirurgici attualmente disponibili hanno fortemente ridotto il danno estetico e il rischio di complicanze. Inoltre, lesioni benigne meno complesse possono essere ora trattate con nuove terapie mini-invasive che permettono di ridurne il volume senza necessità di anestesia generale e di ricovero in ospedale.
Di queste tecniche si parla al workshop “2° Thyroid UpToDate 2014 – Patologia tiroidea fra certezze e zone grigie” che si è tenuto ad Ariccia il 3 e il 4 ottobre e al quale hanno partecipato numerosi esperti italiani ed internazionali.
“Le nuove terapie mini-invasive – afferma Enrico Papini, Direttore UOC Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale e organizzatore del convegno – portano ad una diminuzione significativa e persistente del volume dei noduli e dei sintomi”.
“Tra le differenti tecniche mini-invasive di ablazione dei noduli tiroidei, continua Papini, tre sono le più efficaci e le più semplici da applicare dopo un adeguato periodo di training. Tutti questi metodi hanno il vantaggio di non richiedere l’anestesia generale e di distruggere una minima parte del tessuto tiroideo permettendo quindi di preservare la funzione ghiandolare della tiroide. Per le cisti tiroidee viene utilizzata l’iniezione percutanea di etanolo che consiste nell’iniettare piccole quantità di etanolo nelle cisti dopo aver aspirato il liquido contenuto in esse; questo trattamento dura pochi minuti, non ha costi se non quelli dell’etanolo sterile, è minimamente doloroso e soprattutto sicuro. Per i noduli si usa invece l’ablazione termica che può essere eseguita con due tecniche: mediante laser oppure elettrodi. Con entrambe le metodiche l’aumento di temperatura del tessuto tiroideo provoca un danno cellulare localizzato e irreversibile che porta ad una diminuzione del volume nodulare di circa il 50% che persiste per anni dopo una sola seduta.”
In seguito sia alle tecniche di tireoidectomia tradizionali che alle terapie mini-invasive può diventare necessaria una terapia sostitutiva con l’ormone sintetico della tiroide, la levotiroxina che è la terapia principale per l’ipotiroidismo che deve essere seguita per tutta la vita e impone semplici ma precise regole per essere effettuata correttamente. La levotiroxina presenta una serie di interazioni con altri farmaci e il suo assorbimento può non essere ottimale per problemi digestivi o intolleranze come quella al lattosio, inoltre, è necessario non assumere cibo per almeno 30 minuti dopo l’ingestione dell’ormone. “Alcuni recenti contributi nel campo della farmacologia consentono ora di ricorrere a nuove soluzioni terapeutiche, come ad esempio l’impiego dell’ormone tiroideo in soluzione liquida o in capsule molli che possono garantire un migliore assorbimento del principio attivo e una migliore aderenza del paziente alla terapia grazie alla facilità di assunzione.” conclude Papini.