Articolo pubblicato il: 19/12/2014
Il segreto della passione per i tartufi potrebbe celarsi in una molecola nascosta, svelata da una ricerca tutta italiana. Questi tuberi, in particolare il tartufo nero (Tuber melanosporum), contengono infatti una ‘molecola del piacere’ simile alla sostanza che dà alla cannabis le sue proprietà psicoattive. “Si tratta dell’anandamide – spiega all’Adnkronos Salute Mauro Maccarrone, biologo e chimico del Campus BioMedico di Roma, autore della ricerca pubblicata su ‘Phytochemistry’ insieme ai botanici dell’Università dell’Aquila – un composto simile al Thc”, il cui nome deriva dal sanscrito e significa piacere estremo o estasi.
“L’anandamide scatena il rilascio di sostanze chimiche che regalano benessere e modulano l’umore. La nostra idea – dice il ricercatore – è che i tartufi la usino per attrarre gli animali e spingerli a nutrirsene, in modo che le spore possano essere disseminate nell’ambiente e questo favorisca la diffusione dei tartufi stessi”. Insomma, l’oro nero come la cannabis? Sembra proprio di sì, e non stupisce che la ricerca italiana abbia fatto il giro del mondo, incuriosendo la britannica Bbc.
Ma come è venuta l’idea di cercare questo endocannabinoide nel tartufo? “Anni fa avevamo dimostrato che la formazione della melanina nella nostra pelle era regolata proprio dagli endocannabinoidi. Siccome il tartufo nero contiene melanina – racconta lo studioso – ci siamo chiesti se l’anandamide, il lipide che stimola la produzione di questo pigmento per proteggere la pelle dai raggi, fosse anche nel tubero”.
Grazie alla collaborazione con i colleghi abruzzesi, il team ha scoperto non solo la presenza della molecola, simile alla sostanza attiva della cannabis, ma l’ha anche misurata. “Abbiamo anche visto però che nel tartufo nero non ci sono i recettori chiave, su cui l’anandamide avrebbe dovuto agire per la melanogenesi”. Perché dunque la molecola c’è ed è attiva? “La nostra idea – spiega lo scienziato – è che il tartufo produca questo endocannabinoide per spingere gli animali a mangiarlo. Così poi distribuisce le sue spore e si diffonde nell’ambiente”.
La sostanza nel tartufo è psicoattiva e, secondo il ricercatore italiano, non serve ad attrarre l’animale da lontano. “Piuttosto punta ad appassionarlo a questo alimento. Questo endocannabinoide è presente anche nel latte materno e stimola il neonato ad assumerlo”. Oltretutto “il tartufo è una specie molto più antica della cannabis. E la presenza di questa molecola nel tartufo ci dice che i segnali endogeni interni per produrre la sostanza psicoattiva sono antecedenti alla pianta che la contiene”, conclude il ricercatore.