Ci risiamo: l’autunno si abbatte sull’Italia come un flagello. I corsi d’acqua ostruiti dalle costruzioni o snaturati dal cemento riversano nelle città le acque piovane che non possono più defluire naturalmente verso il mare, i giornali e la televisione ricominciano come ogni anno a evocare l’alluvione di Firenze e gli ormai citatissimi angeli del fango. Eppure per l’economia del nostro Paese ci sono altri danni, meno spettacolari ma altrettanto gravi. È di questi giorni la notizia che quest’anno gli olivi delle meravigliose colline toscane non daranno frutto. Si prevede un raccolto che renderà tra il 70% e l’80% in meno. La responsabilità è di una ‘mosca olearia’ che quest’anno ha letteralmente distrutto il raccolto. Colpa della troppa pioggia, più del 300% rispetto alla media. Quest’anno l’anticiclone delle Azzorre, che con il suo caldo secco da sempre blocca l’attacco di questo molesto insetto, non si è fatto vedere. L’umidità ha consentito alla mosca di far fuori il raccolto, interrompendo un ciclo che da millenni aveva fatto dell’olivo e dell’olio un simbolo del Mediterraneo.
Il danno economico è gravissimo: l’Italia ha un patrimonio di 250 milioni di olivi, per un fatturato di 2 miliardi di euro annui, con esportazioni pari a 1,2 miliardi. Primo esportatore mondiale di olio con 460.000 tonnellate. L’alluvione a Genova. La crisi della produzione dell’olio. Danni cui l’Italia dovrà far fronte, come al solito, con un grande dispendio di risorse deciso in una situazione di emergenza assoluta. Perdite secche, di molto superiori alle somme che sarebbero state necessarie per un’opera di prevenzione programmata ed eseguita gradualmente, senza la pressione dell’urgenza e l’indignazione dell’opinione pubblica. Che il clima stia cambiando è ormai chiaro a tutti, non solo agli esperti di clima e di ecologia. Perciò, quando i governi ogni anno rinunciano a mettere in bilancio gli investimenti necessari per far fronte a questi cambiamenti, contraggono in realtà un debito nei confronti del futuro. Il clima arriva ormai ogni anno, puntuale, a riscuotere il suo credito, e quello che non si è investito si paga per riparare i danni, per sostenere l’agricoltura e l’industria alimentare colpite dagli effetti della troppa pioggia. Ce lo dice anche la Strategia Europea per contrastare i cambiamenti climatici che investendo 1 euro oggi per la protezione delle inondazioni, se ne risparmieranno 6 nel futuro e che il costo minimo di un mancato adattamento ai cambiamenti climatici a livello europeo andrebbe dai 100 miliardi di euro all’anno nel 2020 ai 250 nel 2050.
Eppure la sfida al cambiamento climatico che è stata raccolta dai Governi di molte democrazie avanzate, sembra essere totalmente assente dal vocabolario di un giovane leader progressista come Matteo Renzi nonostante il nostro Paese ormai da anni stia subendo le conseguenze ambientali ed economiche dell’effetto serra. Mi chiedo cosa sia la politica se non la capacità di orientare le scelte di un Paese a partire dall’osservazione delle condizioni nelle quali la società e l’economia agiscono. Se la politica è questo, allora ogni rinvio dell’impegno dell’Italia nella trasformazione del proprio modello energetico e di gestione del territorio è una vera e propria rinuncia ad esercitare una scelta politica. Cioè una rinuncia a pensare ed adottare strategie di investimento destinate a portare risparmi nelle spese per disastri, a generare occupazione di qualità, a riparare i danni di una gestione privatistica del territorio di cui stiamo pagando carissimi gli effetti perversi.
Barack Obama ha dichiarato di recente che “L’azione rivolta ad affrontare il cambiamento climatico è una delle grandi opportunità del 21 secolo”. E’ vero. Questa sfida, questo recupero del primato del pubblico e del comunitario sul privato che si è impossessato della nostra società fra il ‘craxismo’ degli anni Ottanta e il ‘berlusconismo’ degli ultimi vent’anni, è la vera frontiera della sinistra nel nostro tempo. Certo, per cambiare ci vuole coraggio. E la sinistra più è estrema e più è abbarbicata alle gloriose parole d’ordine operaiste che la fecero grande, attrattiva e progressista per un secolo, fino all’ultima esplosione del Sessantotto. Parole ormai erose, svuotate, nell’epoca di internet, dei disastri provocati dal clima che cambia. Perciò, essere di sinistra oggi significa prendersi in carico anche gli errori della sinistra e cambiare strada. Un antico adagio cinese recita: “Quando il vento cambia direzione, ci sono quelli che tirano su muri e quelli che costruiscono mulini” .
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