L’aumento di peso eccessivo peggiora la qualità della vita e la
stima in sé stessi oltre a creare complicazioni alla salute. Per
uscirne occorre capire che la soddisfazione dei propri bisogni
emotivi non passa solo dalla tavola. Non è facile, ma riconoscere il
problema è il primo passo per iniziare a stare meglio. Gli obesi in
Italia rappresentano il 10% della popolazione cioè quasi 6 milioni
di persone. Il problema colpisce maggiormente gli uomini (11,1%)
rispetto alle donne (9,2%). Una persona si considera obesa se il suo
peso corporeo eccede del 60% il suo peso ideale, obesa in maniera
severa se il suo peso eccede del 100% il suo peso ideale.
Nell’obesità c’è una profonda influenza di fattori psicologici. Le
persone obese hanno infatti, in molto casi, sviluppato una vera e
propria dipendenza dal cibo. In altre parole, assumono cibo come
risposta a moltissime situazioni di stress o anche di dispiacere
della loro vita. Hanno difficoltà ad ascoltare e riconoscere le
proprie sensazioni ed emozioni rispondendo alla maggior parte
di esse come si trattasse di fame, ed avendo come conseguenza
il fatto di ingrassare, senza aver in alcun modo risposto ai propri
bisogni. Inoltre, la condizione di obesità complica non poco la vita
di relazione, tanto che molte persone obese si sentono spesso
frustrate, con bassa autostima, incapaci di suscitare interesse
e reazioni positive nel sesso opposto. Alcuni, per evitare ulteriori
rifiuti, conducono una vita decisamente ritirata, che non fa che
creare spazio fertile all’ulteriore eccessiva assunzione di cibo.
C’è unanime accordo nella comunità scientifica sul fatto che
l’aumento eccessivo di peso sia proporzionale ad un peggioramento
della qualità di vita della persona, e sul fatto che la condizione di
obesità sia legata in maniera indissolubile a serie complicazioni in
fatto di salute. Negli ultimi anni, molti studi si sono interrogati sull’ereditarietà
dell’eccesso di peso: i risultati sono discussi, in quanto ci sarebbe
sì una componente genetica, ma non tale da spiegare, se non
in misura minore, l’obesità. L’elemento centrale sarebbe la
trasmissione tra generazioni di cattive abitudini alimentari. Secondo
dati dell’AIO, l’Associazione Italiana Obesità “solo il 5% dei casi di
obesità è causato da disfunzioni di tipo ormonale”. In altre parole,
nella grande maggioranza dei casi l’obesità si può combattere. Ma
come?
L’approccio che ha dato maggiori frutti è caratterizzato dalla
collaborazione di professionisti della nutrizione e della psicologia.
Il primo passo per rompere questo circolo vizioso è aiutare la
persona obesa a entrare in contatto con le proprie emozioni e
sensazioni, e aiutarla a riscoprire che la soddisfazione dei suoi
bisogni non passa necessariamente attraverso il cibo. Le emozioni
sono come le spie che si accendono sul cruscotto dell’auto mentre
stiamo guidando, e ognuna di esse indica una necessità. Prendiamo
ad esempio la tristezza, sotto la quale si nasconde la mancanza di
qualcosa che per noi è importante. Se mi sento triste perché ho
voglia di parlare con un amico e condividere i miei vissuti, l’unica
cosa che mi farà smettere di essere triste è parlare con un amico.
Se affronto la situazione mangiando (cosa che lì per lì sembra
calmare il mio stato emotivo) ben presto la sensazione di piacere
si esaurirà, e mi ritroverò ugualmente triste, e avrò anche acquisito
peso, cosa deleteria per la mia autostima. Imparare a riconoscere
e soddisfare le proprie esigenze emotive ed affettive è un prerequisito
importante per mantenere elevato il livello di motivazione
necessario a conseguire il dimagrimento. Sostenere una persona
con bassa autostima significa aiutarla a compiere le azioni che
ritiene buone per sé: nel caso dell’obeso, dimagrire. Man mano che
la persona acquista un senso di auto-efficacia, che cioè inizia a veder
ripagati i propri sforzi, sarà sempre meno difficoltoso mantenersi
motivata, e lo stesso processo virtuoso potrà essere esportato ad
altri ambiti della propria vita, tanto da effettuare finalmente quelle
conquiste socio-relazionali da tanto tempo sognate.
a cura di Giovanni Porta Psicologo e Psicoterapeuta