In Italia si stima, secondo l’indagine DOXA, che l’ipotiroidismo colpisca oltre 5 milioni di persone, prevalentemente donne, che possono trovare rimedio al loro disturbo con la levotiroxina, il farmaco che sostituisce l’ormone naturalmente prodotto dalla tiroide. “La cura con levotiroxina, oltre ad assicurare la giusta dose di ormone tiroideo e, conseguentemente, il miglior funzionamento dell’organismo”, dice Salvatore Benvenga, ordinario di Endocrinologia all’Università di Messina. Che aggiunge come, tuttavia, ciò possa essere compromesso “da errate modalità d’assunzione del farmaco o dal consumo di bevande, o di farmaci e integratori alimentari che riducono l’assorbimento intestinale della levotiroxina. Esistono molti farmaci che riducono l’assorbimento intestinale della levotiroxina, tra questi spiccano gli antiacidi, comunemente utilizzati per disturbi alla digestione, l’ulcera o il reflusso gastroesofageo, come gli inibitori di pompa protonica e quelli a base di sucralfato”. Da alcuni dati, infatti, emerge chiaramente la frequente associazione tra ipotiroidismo e malattie del tratto gastrointestinale, avvalorata dal ricorso a farmaci antiacidi quali inibitori della pompa protonica, carbonato di calcio, idrossido di alluminio e magnesio, sucralfato che arrivano ad essere prescritti al 65% degli ipotiroidei: al 30% circa per i soli inibitori di pompa protonica.