Scegliere i cibi giusti è importante, ma se parliamo di patologie tricologiche il trattamento farmacologico è fondamentale. Dall’ International Hair Research Foundation i nuovi risultati sulla finasteride.
Milano, ottobre 2015 – La nuova frontiera per la cura della pelle? L’alimentazione. Per avere cute sana e chiome fluenti, infatti, è importante scegliere i cibi giusti. A confermarlo è il dottor Fabio Rinaldi, presidente dell’IHRF – International Hair Research Foundation – e docente alla Sorbona di Parigi. Ma quali sono i 15 alleati naturali presenti sulle nostre tavole?
Cereali, pesce, carne e uova contengono Taurina (che rinforza il capello e stimola la pigmentazione), Ornitina (che prolunga la vita dei capelli e riequilibra il contenuto idrolipidico della cute) e Niacina (che dilata i vasi capillari, facilitando l’afflusso di sangue al cuoio capelluto).
Cavoli, broccoli, spinaci, pomodori, albicocche e agrumi sono ricchi di Flavonoidi (che stimolano la funzionalità della rete vascolare bulbare). Mentre frutti rossi, vino rosso e té contengono i Polifenoli (che proteggono il follicolo).
E poi c’è l’immancabile olio extravergine di oliva, fonte di Acido Oleico, appartenente alla famiglia degli acidi grassi omega-9; e la frutta secca, ricchissima di Acido Linoleico che agisce come inibitore di un enzima strettamente correlato alla caduta dei capelli: l’alfa-5-reduttasi.
Se però la perdita dei capelli non è un fenomeno sporadico o stagionale e tende ad aggravarsi nonostante gli accorgimenti alimentari e le cure, può trattarsi di alopecia androgenetica. Questo problema, che affligge in particolare le donne durante la pubertà, dopo una gravidanza o in menopausa, si manifesta con un diradamento via via più grave, fino a rendere visibile il cuoio capelluto. L’alopecia androgenetica, insieme all’alopecia areata, al defluvium telogenico e all’alopecia cicatriziale, rappresenta uno dei casi più complessi della patologia tricologica, ed è oggetto di studio costante da parte del dottor Fabio Rinaldi e dei dermatologi dell’IHRF, che negli ultimi 4 anni hanno raccolto e analizzato, in tal senso, centinaia di casi clinici tricologici. Il punto di partenza, in questi casi, è la cura farmacologica. In particolare, per curare l’alopecia androgenetica, bisogna puntare su farmaci anti-androgeni che riducono o bloccano l’azione degli ormoni maschili sul follicolo. “La finasteride è l’unico farmaco registrato per la cura dell’alopecia androgenetica, sin dal 1990” – spiega il dottor Fabio Rinaldi. “Questo farmaco ha un’azione chimica ormonale per bloccare la conversione del testosterone in diidrotestosterone nel bulbo pilifero, meccanismo che è alla base della caduta dei capelli negli uomini e nelle donne”. Ma il dato sorprendente, secondo la ricerca presentata di recente dal dottor Rinaldi e dall’IHRF, è che contrariamente a quanto si pensa, il farmaco ed eventuali effetti collaterali, non sono in rapporto di causa-effetto. “Nel 2014 abbiamo iniziato uno studio retrospettivo su 215 soggetti maschi in buone condizioni di salute, che avevano sospeso l’uso della finasteride da almeno tre mesi e dopo almeno 1 anno di assunzione del farmaco” afferma il dottor Rinaldi. “Sono stati valutati sintomi specifici come: valutazione della libido, disordini dell’aeiaculazione, disturbi erettili, dolore ai testicoli, sintomi fisici, sintomi cognitivi e psicologici (depressione, ansia). Il 61,4% dei soggetti valutati riportava sintomi persistenti della sfera sessuale e non (in prevalenza diminuzione della libido, dolore ai testicoli, diminuzione della capacità di concentrazione e depressione) anche dopo 1 anno dalla sospensione del farmaco. Tutti i sintomi riportati sono poi stati valutati dagli specialisti di competenza per accertare l’esatta incidenza. Nel globale, dopo la valutazione specialistica solo il 38,7 % dei soggetti mostrava dei sintomi obiettivabili. Questo significa che in più del 22% (22,7%) dei soggetti che lamentava dei sintomi legati alla finasteride, non era possibile riconoscere un reale rapporto di causa effetto con il farmaco”.
Che sia dunque l’ansia per la patologia tricologica o la paura degli effetti negativi del farmaco ad amplificare il problema? Di sicuro, un adeguato regime alimentare è utile e a volte necessario per il benessere e la prevenzione di patologie della pelle e dei capelli. Importantissimo, dunque, è sfruttare i principi attivi contenuti in modo naturale in molti alimenti e seguire le regole della “cronodieta”, che prevede pasti a intervalli regolari. Infatti, gli orari in cui vengono consumati i diversi alimenti influenzano l’utilizzo, in termini di fonte energetica, dei singoli nutrienti, con benefici effetti preventivi e curativi nei confronti di patologie legate alla pelle e ai capelli. Attenzione, perciò, a cosa e come si mangia. La salute passa dalla tavola.
ALOPECIA ANDROGENETICA E CURA CON FINASTERIDE: COSA DICE LA SCIENZA?
I nuovi dati dell’International Hair Research Foundation
Milano, ottobre 2015 – “La finasteride è l’unico farmaco registrato per la cura dell’alopecia androgenetica, sin dal 1990” spiega il dottor Fabio Rinaldi, presidente dell’IHRF – International Hair Research Foundation – e docente alla Sorbona di Parigi. “Nel mondo si vendono più di 50 milioni di confezioni per curare la calvizie. Normalmente la cura dura per molti anni consecutivamente. La finasteride ha un’azione chimica ormonale per bloccare la conversione del testosterone in diidrotestosterone nel bulbo pilifero, meccanismo che è alla base della caduta dei capelli negli uomini e nelle donne.
Già numerosi studi hanno dimostrato effetti collaterali reversibili negli uomini che assumono la finasteride, come la diminuzione della libido e la riduzione della fertilità. Raramente sono stati descritti casi irreversibili di impotenza e sterilità. Le donne in età fertile non possono assumere questo farmaco per l’alto rischio di patologia fetale.
Da qualche anno si è cominciato a considerare il rischio di effetti collaterali a lungo termine e irreversibili in uomini che hanno assunto la finasteride nei modi e nella posologia corretti per più di due anni. Si è individuata una sequela di sintomi irreversibili che è stata definita “sindrome post-finasteride”.
Nel 2014 abbiamo iniziato uno studio retrospettivo su 215 soggetti maschi in buone condizioni di salute, che avevano sospeso l’uso della finasteride da almeno tre mesi e dopo almeno 1 anno di assunzione del farmaco. Sono stati valutati sintomi specifici come: valutazione della libido, disordini dell’eiaculazione, disturbi erettili, dolore ai testicoli, sintomi fisici, sintomi cognitivi e psicologici (depressione, ansia). Il 61,4% dei soggetti valutati riportava sintomi persistenti della sfera sessuale e non (in prevalenza diminuzione della libido, dolore ai testicoli, diminuzione della capacità di concentrazione e depressione) anche dopo 1 anno dalla sospensione del farmaco. Tutti i sintomi riportati sono poi stati valutati dagli specialisti di competenza per accertare l’esatta incidenza. Nel globale, dopo la valutazione specialistica solo il 38,7% dei soggetti mostrava dei sintomi obiettivabili. Questo significa che in più del 22% (22,7%) dei soggetti che lamentava dei sintomi legati alla finasteride, non era possibile riconoscere un reale rapporto di causa effetto con il farmaco.
Forse si sta delineando la possibilità della reale esistenza di una sindrome post finasteride, anche se spesso l’ansia per la patologia tricologica o per la paura degli effetti negativi del farmaco tende ad esagerare il problema.
È significativo che il nostro sia il secondo studio scientifico sull’argomento ( il primo pubblicato nel maggio 2015 su Am J Mens Health), mentre sui forum liberi l’argomento impazza con valutazioni decisamente poco scientifiche, e con una comunicazione a nostro avviso forse pericolosa”.