Al 73° Congresso dell’American Diabetes Association, la più importante assise internazionale di diabetologia che si è tenuta a Chicago dal 21 al 25 giugno, la professoressa Angela Albarosa Rivellese, membro della Società Italiana di Diabetologia (SID) e professore di Medicina Interna presso l’Università ‘Federico II’ di Napoli, ha tenuto una lettura sugli effetti delle diete ricche in fibre vegetali nei confronti delle alterazioni metaboliche che caratterizzano la fase postprandiale. Il periodo post-prandiale può rappresentare una condizione di rischio aggiuntivo per il diabete e le malattie cardiovascolari, viste le alterazioni che si producono a livello della glicemia e dei trigliceridi. Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra i livelli di glicemia dopo un pasto e l’aumento del rischio di malattie cardiovascolari. Anche l’aumento dei trigliceridi dopo un pasto rappresenta un importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari, in quanto provoca disfunzione endoteliale, uno stato di infiammazione subclinica e aumenta lo stress ossidativo. Dei semplici interventi sulla dieta possono aiutare a contenere le escursioni della glicemia e dei trigliceridi che si verificano dopo i pasti e a ridurre così il rischio di sviluppare diabete e malattie cardiovascolari. “La dieta moderna – afferma il professor Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia, SID – è diventata più appetibile ma meno ricca di fibre. Quindi non solo mangiamo di più, ma mangiamo anche peggio, con il risultato che si ingrassa più facilmente e aumenta ancora di più il rischio di obesità, diabete e malattie cardiovascolari”.
Cosa succede nel nostro organismo dopo un pasto?
Lo stato post-prandiale è una condizione molto complessa caratterizzata da alterazioni sia del metabolismo glucidico che lipidico che si correlano ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari e di diabete. Quando si assume un pasto, anche nella persona normale, si assiste ad un fisiologico aumento della glicemia, dell’insulina e dei lipidi (i trigliceridi). Naturalmente quando l’alimentazione è sbagliata, cioè è ricca di carboidrati semplici e di grassi, questi aumenti sono più marcati. E quindi a lungo andare (anche perché nella società moderna si passa più tempo nello stato post-prandiale che a digiuno), si può avere un rischio aumentato di alcune malattie croniche, come l’obesità e il diabete, oltre che di malattie cardio e cerebrovascolari.
Come ci si può proteggere da queste pericolose escursioni di glicemia e trigliceridi dopo i pasti?
Le alterazioni della glicemia e dei trigliceridi che caratterizzano il periodo post-prandiale possono essere modulate in maniera positiva, migliorando la qualità e la quantità dei cibi che introduciamo. Abbiamo visto, effettuando studi sia nei soggetti diabetici che nella popolazione generale, che assumendo una dieta più ricca in legumi, cereali integrali, frutta e vegetali – quindi più ricca in fibre – nel periodo post-prandiale si osserva una riduzione sia della glicemia che dei trigliceridi, rispetto a soggetti che assumono una dieta povera di fibre. Quindi, con opportune, semplici scelte alimentari si possono ridurre queste alterazioni che ci espongono ad un maggior rischio di diabete, obesità e malattie cardiovascolari. “E’ curioso notare – commenta il professor Stefano Del Prato – come questi alimenti siano caratteristici della cosiddetta ‘dieta mediterranea’, che nonostante le numerose riprove del suo effetto favorevole sullo stato di salute, e’ stata progressivamente abbandonata dalla nostra popolazione”.
Le fibre sono tutte uguali?
Esistono diversi tipi di fibre. Alcune hanno un effetto maggiore sul metabolismo, quindi sulla glicemia e sui lipidi; altre invece regolano maggiormente la velocità del transito intestinale. Ad esempio le fibre contenute nei legumi, nella frutta e nella verdura sono prevalentemente di tipo idrosolubile e migliorano la glicemia in fase post-prandiale. In uno degli studi più recenti fatto dal nostro gruppo, abbiamo inoltre dimostrato che anche le fibre insolubili, come quelle contenute nei cereali integrali, e che si riteneva non avessero un grosso effetto sul metabolismo, sono invece in grado di provocare una riduzione sia dell’insulina che dei trigliceridi in fase post-prandiale.
Qual è l’apporto giornaliero consigliato di fibre?
Per la popolazione generale si consiglia un apporto di fibre di 30-35 grammi al giorno, che poi equivale ad assumere un piatto di legumi o di pasta e legumi 2-3 volte la settimana, uno o due abbondanti piatti di verdura nella giornata e due-tre pezzi di frutta al giorno. Tra i cereali è bene scegliere quelli meno raffinati, come ad esempio il pane integrale e la pasta integrale.
Ma come fanno le fibre a ridurre la glicemia postprandiale?
I meccanismi attraverso i quali le fibre agiscono sono diversi. Uno dei più importanti è che le fibre possono interferire con l’assorbimento dei nutrienti, in particolare dei carboidrati e questo aiuta a ridurre la glicemia post-prandiale. Va sottolineato inoltre che le fibre riducono la glicemia nella prima parte del periodo post-prandiale, mentre a distanza di 5-6 ore dal pasto mantengono la glicemia a livelli leggermente più elevati; questo è molto importante soprattutto nelle persone con diabete, perché aiuta a prevenire le ipoglicemie tardive post-prandiali, frequenti nei diabetici in trattamento. Le fibre insomma mantengono la curva della glicemia post-prandiale più piatta rispetto a quello che avviene nei soggetti che seguono un’alimentazione povera di fibre. Ritornando ai possibili meccanismi, a livello intestinale le fibre possono formare delle soluzioni viscose e quindi ritardare l’attacco dei carboidrati da parte degli enzimi intestinali; permanendo più a lungo nell’intestino, questi carboidrati possono influenzare la secrezione di alcuni ormoni intestinali, quali colecistochinina e GLP-1, che vanno ad influenzare in modo favorevole il senso di fame. Dopo un pasto ricco di fibre, infatti, aumenta il senso di sazietà. Le fibre inoltre distendono lo stomaco e rallentano lo svuotamento gastrico; anche questo contribuisce ad aumentare il senso di sazietà. Nell’ultima parte dell’intestino le fibre sono attaccate dagli enzimi digestivi e questo va ad influenzare favorevolmente la microflora intestinale (il cosiddetto microbiota), facendo prevalere i batteri dotati di effetti favorevoli contro l’obesità, il diabete e le altre malattie metaboliche. Le fibre, attaccate dai microbi intestinali, producono anche acidi grassi a catena corta, che a loro volta hanno un effetto favorevole sul controllo della fame e migliorano il controllo glicemico e il metabolismo dei lipidi. “Le abitudini alimentari – commenta il professor Del Prato – come ha ben dimostrato la professoressa Rivellese hanno importanti risvolti sullo stato di salute. Sarebbe quindi raccomandabile che una adeguata educazione alimentare venisse iniziata in età scolare, magari rendendola proprio una materia di studio, da inserire nel curriculum scolastico. Semplici abitudini alimentari, come quella di potenziare il contenuto di fibre nella dieta, hanno infatti riflessi incredibili su tutta una serie di meccanismi che possono ridurre o aumentare il rischio di malattia”.