scoperte e idee di Pier Paolo Pandolfi – di Raffaella Quieti
“Il cancro è la patologia del secolo. Superati i 70 anni aumentano le probabilità di incorrere in una forma di tumore. Ciò soprattutto in Italia, per l’elevata longenvità che ci caratterizza”. Insignito a Maggio del prestigioso Premio “Pezcoller” per la ricerca oncologica, Pier Paolo Pandolfi è il titolare della cattedra di Medicina e Patologia alla Harvard Medical School di Boston, dove dirige il Centro per la Ricerca e la Cura del Cancro e il Dipartimento di Genetica dei Tumori.
Professor Pandolfi, quali sono le scoperte che l’hanno condotta al premio oramai definito il ‘Nobel del Cancro’ ?
La mia “claim to fame” consiste nella scoperta delle basi genetiche della Leucemia Promielocita Acuta e nello sviluoppo di un approcccio metodologico che ne ha permesso la cura. Questa Leucemia è ad oggi considerata una malattia curabile. Quando ci si chiede se le scoperte genetiche abbiano veramente cambiato il modo in cui le malattie vengono diagnosticate o trattate, la risposta più frequente è negativa. I ritrovati scientifici raramente forniscono un impatto concreto a breve termine. Negli ultimi anni ad esempio, la terapia del tumore al polmone non si era evoluta, nonostante avessimo scoperto una serie di geni mutati, deleti e riarrangiati. In questo caso l’informazione genetica non aveva favorito l’evoluzione del trattamento, che invece ora sta avvenendo. Nel caso della Leucemia Promielocita Acuta, è avvenuto il fondamentale trasferimento dell’informazione nella cura. Ed è proprio questa traslazione il paradigma da ripetere ed esportare ad altri tipi di tumore. E questo è solo uno degli esempi felici di una leucemia fino a 20 anni fa killer e ad oggi brillantemente eradicata. Pensiamo ciò possa diventare l’approccio da perseguire per altri tipi di tumore, ma anche per patologie non tumorali, a cominciare dal fatto che l’acquisizione della conoscenza delle basi genetiche della LAP (o APL in Inglese), ci ha permesso di scoprire il target contro il quale sviluppare farmaci.
Com’è avvenuta l’identificazione di questo target, e quindi dei farmaci adatti a sconfiggerlo?
Negli ultimi anni abbiamo generato ‘piccoli pazienti’ che sviluppano la malignità su base della mutazione genetica che troviamo nel tumore umano. Siamo riusciti a ricreare nel topo di laboratorio tumori che hanno caratteristiche patologiche, istologiche e di risposta al farmaco indistinguibili da quelle dell’uomo. Si è trattato di un punto di rottura concettuale: fino a 15 anni fa non eravamo convinti si potesse creare un modello fedele di malattia umana nel topo. A livello biomedico non eravamo ancora convinti che fosse possibile poter ricreare in questo animale il Parkinson, il tumore della prostata o la LAP. Attraverso i geni mutati dell’uomo, siamo però riusciti a far sviluppare nei topi di laboratorio una leucemia indistinguibile da quella umana a livello clinico, ma anche come risposta alla terapia. Abbiamo quindi potuto testare nuovi farmaci, e allo stesso tempo accettare l’idea di usare il topo malato come surrogato del paziente umano. In questi ospedali in miniatura, arruoliamo piccoli malati affetti da malattie oncologiche e non. Sulla base delle tecnologie attuali, stiamo sequenziando l’intero genoma del cancro, di ogni tipo di tumore (l’intero genoma umano) rapidamente. Quest’analisi ci ha permesso di capire che, all’interno di una stessa tipologia di carcinoma, non lottiamo contro un tumore, ma diverse espressioni della malignità. E di conseguenza il farmaco miracoloso che li cura tutti è difficile da individuare. La terapia va quindi personalizzata e la sfida diventa quella di come testare i farmaci in maniera rapida, individualizzare la cura con farmaci specifici e colpire i vari sottotipi di tumore.
In che modo siete riusciti a velocizzare il processo di testing dei farmaci?
Un percorso classico di trials clinici sui farmaci è composto da tre fasi. Lo studio della tossicità del farmaco, della sua efficacia e la conferma della sua efficacia. Si tratta di studi molto costosi e molto lunghi, che richiedono in media 2/3 anni a farmaco. Per sconfiggere un tumore il percorso classico di trials clinici impone di testare singolarmente i differenti farmaci sui vari tipi della malattia e poi in associazione. Per ogni combinazione trascorrono ulteriori tre o quattro anni. Bisogna quindi accelerare tale processo per fronteggiare questa complessità e sfruttare pienamente la ricchezza di farmaci di cui oggi siamo dotati. I nostri malati surrogati ci permettono di ricreare ad esempio i 100 tipi geneticamente diversi di tumore alla prostate e quindi di testare questi farmaci sia singolarmente che in combinazione. Non si tratta di uno scenario futuribile, ma di una realtà attuale. Nel settimo piano del grattacielo dal quale le parlo oggi, utilizziamo questa metodologia. Così facendo possiamo dimostrare l’efficacia di un farmaco ad esempio nel sottotipo tumorale 87, e poi testare questo farmaco rapidamente nel sottotipo umano, indirizzando ed individualizzando la cura.
E’ questa la metodologia che le ha permesso di sconfiggere la Leucemia Promielitica Acuta ?
Si, le nostre vittorie contro la Leucemia Promielitica Acuta sono la dimostrazione formale che questo approccio funziona. Anche nel caso della LAP, ci sono 6 sottotipi genetici. Li abbiamo ricreati tutti nel topo. Abbiamo quindi individualizzato la cura per ogni sottotipo di tumore, e portato quei farmaci in fase clinica. La risposta nell’uomo è avvenuta esattamente come previsto attraverso l’utilizzo del topo. Si è trattato della dimostrazione formale della validità del nostro approccio. Il topo, che all’interno delle sue cellule ematiche di prostata o polmone contiene il gene umano mutato, costituisce uno strumento utilissimo per verificare se il farmaco agisce direttamente sul gene, appunto identico a quello umano. Questo percorso che va dalla genetica del cancro alla modellistica del cancro nel topo, usando il surrogato malato come strumento della terapia, ha definito il nostro approccio alla ricerca e alla terapia oncologica.
Professor Pandolfi, sulla base delle sue scoperte avvenute nell’ Ospedale del Topo, c’è qualcosa che cambierebbe nell’ospedale dell’uomo ?
Il mondo della clinica e della ricerca sono ancora separati. Parliamo due linguaggi diversi, abbiamo obiettivi distinti. L’ospedale del topo ci ha aiutati a creare un nuovo concetto di ospedale. Il ricercatore di base che ingegnerizza il topino, il clinico, il farmacologo, il genetista: questo è il mio team. Una trentina di persone, medici, biologi e chimici che collaborano in una squadra. Naturalmente si tratta di una realtà realizzabile se si ha a disposizione una equipe numerosa ed una struttura che possiede queste componenti. Quando abbiamo realizzato la modellistica dei roditori e ci siamo resi conto che il topino sviuppava la stessa leucemia dell’uomo, siamo riusciti a convincere i nostri clinici dell’applicabilità dei nostri ritrovati, solo perchè loro si recavano personalmente presso il nostro laboratorio, ascoltavano i nostri dati convincendosi che i nostri pazienti surrogati reagivano come dei veri e propri pazienti. Nonstante viviamo in un mondo virtuale in cui tutto sembra meno lontano, la vicinanza fisica è imprescindibile: noi operiamo come laboratorio di ricerca di base all’interno di struttura ospedaliera contigua. A volte passano anni prima che un lavoro di ricerca non pubblicato venga accettato, mentre l’informazione di corridoio gira molto velocemente: se si interagisce con clinici su base quotidiana, il trasferimento della ricerca dalla scoperta di base alla fase clinica avviene in maniera immediata. E sono questi i tempi di cui necessitiamo, per vincere la nostra lotta contro il cancro.
Nato nel 1963 a Roma, il Prof. Pandolfi è laureato all’Universita’ di Perugia e specializzato presso il National Institute for Medical Research dell’Universita’ di Londra. Dopo aver insegnato e diretto la ricerca sulla genetica del Cancro presso la Cornell University e il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, da Settembre 2007, Pandolfi viene reclutato alla Harvard University dove e’ Professore di Medicina e Patologia Medica, Direttore Scientifico del Beth-Israel Deaconess Cancer Center di Harvard e direttore del Cancer Genetics Program. Oltre al recente Pezcoller Award, Pandolfi ha ricevuto numerosi premi ed onoreficienze, incluso il MERIT Award del National Institutes of Health/National Cancer; lo Stohlman Scholar Award della societa’ Americana per la Leucemia ed il Linfoma; il premio per la ricerca sul cancro Sergio Lombroso del Weizmann Institute of Science; il premio della fondazione William and Linda Steere; ed il premio per l’eccellenza in medicina dalla fondazione Italo-americana per il Cancro.