Le terapie farmacologiche e gli interventi riservati ai casi di ipertensione resistente. L’obiettivo delle cure per l’ipertensione è far tornare alla normalità i valori pressori: più sono bassi, più è basso il rischio di malattie cardiovascolari.
«Il primo intervento è sempre di tipo igienico-comportamentale» spiega Marina Alimento, cardiologa dell’unità operativa Scompenso, Cardiologia Clinica e Riabilitativa del Centro Cardiologico Monzino di Milano. «In alcuni casi sarà necessario assumere dei farmaci, ma per tutti i pazienti ipertesi è fondamentale perdere peso, nutrirsi adeguatamente, fare movimento e non fumare» (leggi qui i consigli utili).
Esistono diverse classi di farmaci, da scegliere, da soli o in associazione, in base alla situazione del paziente. «Oggi esistono formulazioni precostituite – aggiunge Marina Alimento – più comode per il paziente perchè permettono di prendere una sola pastiglia invece di due». «Sono in genere farmaci efficaci e ben tollerati, naturalmente possono avere effetti collaterali o in rari casi reazioni allergiche. E’ importante un confronto costante con il medico, che potrà aggiustare la terapia nel tempo, accordo con il paziente».
I FARMACI – Ecco, con l’aiuto della dottoressa Alimento, una panoramica dei farmaci a disposizione per controllare l’ipertensione:
Bloccanti del sistema renina – angiotensina: inibiscono un meccanismo ormonale che regola la pressione arteriosa, sono noti anche con la sigla RAAS, e comprendono gli ACE inibitori e i sartani, o inibitori del recettore AT1 dell’angiotensina II. Sono in genere molto ben tollerati, hanno il vantaggio che non solo abbassano la pressione, ma proteggono l’iperteso dal danno d’organo. Sono quindi utili ad esempio quando il paziente iperteso è giovane, ha di fronte a sè molti anni di terapia, ed è fondamentale garantire una buona qualità di vita. Gli ACE inibitori possono provocare tosse in alcune persone, perchè stimolano i recettori bronchiali; va segnalato subito il problema al medico che potrà sostituire il farmaco con i sartani.
Diuretici: abbassano la pressione e in associazione ad altri farmaci risultano molto efficaci; possono avere effetti collaterali fastidiosi per alcuni pazienti, come l’aumento della diuresi; possono portare a disidratazione, ipopotassiemia, problemi nelle funzioni renali, a cui va prestata grande attenzione, specie nei pazienti anziani e con le temperature più calde. E’ sempre importante bere a sufficienza.
Betabloccanti: modulano la risposta del sistema circolatorio agli stimoli del sistema nervoso simpatico. Riducono la frequenza cardiaca, il che può essere utile ad esempio in pazienti con tachicardia, ma in altri casi possono portare al problema opposto, un rallentamento eccessivo, o bradicardia.
Calcioantagonisti diidropiridinici: bloccano l’afflusso di calcio nelle cellule della muscolatura vascolare e riducono l’eccessiva costrizione delle arteriole. Possono dare fastidi circolatori, come gonfiore a piedi e gambe o vampate.
QUANDO I FARMACI NON BASTANO – Una minoranza dei casi viene definita ipertensione arteriosa resistente. «Meno del 10% dei pazienti non risponde ai trattamenti, vale a dire che dopo tre o più farmaci diversi la pressione non scende al di sotto di 150/90 mm Hg». In questi casi esistono tecniche avanzate e in parte ancora allo studio. Sono terapie non farmacologiche che intervengono su alcune anomalie correlate all’innalzamento della pressione e utilizzano tecniche di chirurgia mininvasiva. « L’ipertensione resistente è legata a una iperattività del sistema nervoso simpatico. Esistono device impiantabili o stimolatori che agiscono a livello dei barocettori carotidei, e servono a inibire l’attività simpatica, svolgendo un’attività antipertensiva costante. Una tecnica diversa è la denervazione renale, un’ablazione che interrompe le connessioni fra sistema nervoso e arterie renali, coinvolte nell’aumento della pressione».