C’è una maggiore sensibilità nei Paesi occidentali, soprattutto tra gli anziani e le donne. Ma la mappa mondiale delle diete non fornisce risultati incoraggianti. La crisi economica ha allargato il divario tra le classi sociali: a partire dalla tavola.
COSA METTIAMO SULLA TAVOLA? – Come è cambiato il nostro modo di mangiare negli ultimi vent’anni? Per trovare una risposta a questa domanda, un gruppo di ricercatori ha recuperato 325 studi rappresentativi di quasi il 90% della popolazione mondiale e riconducibili al periodo compreso tra il 1990 e il 2010. Obiettivo: valutare il consumo di dieci alimenti e nutrienti considerati sani (cereali integrali, frutta, verdura, pesce, frutta secca, legumi, latte, fibre alimentari, grassi polinsaturi e fonti vegetali di omega 3) e di sette etichettati come “cibo spazzatura” (bevande zuccherate, grassi saturi, grassi trans, salumi, sodio e colesterolo), secondo quelli che sono anche i raggruppamenti su cui si basano i principali indici di valutazione di una dieta. Le abitudini alimentari sono state valutate tenendo anche conto del Paese cui la ricerca faceva riferimento, all’età media e al sesso del campione preso in esame e al reddito medio nazionale. È emerso come i modelli alimentari siano migliorati nei Paesi ad alto reddito e peggiorati tra i cittadini meno abbienti degli stati africani e asiatici: dove ancora oggi il riso e le patate costituiscono spesso l’unico alimento di una giornata. In valore assoluto i maggiori progressi sono stati evidenziati all’interno del ceto medio: consapevole di dover essere più attento a cosa porta sulla tavola.
L’EPIDEMIA DELLE MALATTIE CRONICHE – Finora, parlando di malnutrizione, si faceva riferimento soprattutto alla sicurezza alimentare e al deficit di micronutrienti nelle aree meno abbienti del mondo. Adesso, invece, le priorità sono in evoluzione e riguardano l’epidemia di malattie croniche non trasmissibili, di recente documentata anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: 38 milioni i morti nel mondo ogni anno. Nell’ultimo documento, pubblicato su The Lancet Global Health, gli autori della ricerca scrivono che «entro il 2020 il 75% di tutti i decessi che si registrano nel mondo avrà come causa principale le scelte alimentari errate compiute negli ultimi anni». Dal 1990 a oggi l’aumento del consumo di alimenti poco salutari è stato di gran lunga superiore alla diffusione di cibi ritenuti in grado di migliorare le condizioni generali di salute di un individuo. Un’ulteriore conferma giunge da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine: in 181 Stati su 187 i consumi di sale sono quasi doppi rispetto a quelli consigliati dall’Oms, con un aumento del rischio cardiovascolare.
I MERITI DELLA DIETA MEDITERRANEA – Ma vista la mole di dati e la loro eterogeneità – dovuta all’ampio periodo di osservazione e alle diversità tra i vari Paesi considerati -, non tutto ciò che è emerso dal lavoro è da buttare. «Le differenze tra Stati riflettono la disponibilità dei 17 alimenti o nutrienti considerati più che le scelte individuali – afferma Carlo La Vecchia, docente di epidemiologia all’Università Statale di Milano -. Alcuni dei punteggi più alti sono giunti da Paesi a basso reddito: segno che la dieta mediterranea rimane l’arma più efficace per prevenire diverse malattie croniche».
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